Intervista con la giornalista Antonella Cardone

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Antonella Cardone, giornalista modenese, racconta la storia e il modello imprenditoriale alla base de ‘Sul Panaro.net’, sito di informazione giornalistica della Bassa Modenese

 

Antonella Cardone, sei giornalista imprenditoriale ed editore. Raccontaci la tua esperienza professionale.

Ho cominciato con il giornalismo rispondendo a un annuncio all’Università, una piccola agenzia di stampa cercava collaboratori. Avevo 19 anni. Da allora non mi sono più fermata: quotidiani, riviste, uffici stampa, la tv. Da giornalista per la carta stampata le esperienze più significative le ho avute a l’Unità, Repubblica, il Riformista e Italia Oggi.
Dopo che la mia carriera di giornalista nazionale mi ha dato tutte le soddisfazioni che potevo avere senza rinunciare alla mia libertà di pensiero c’è stato un momento di crisi del settore. Il taglio dei compensi delle collaborazioni non era più sostenibile e quindi mi sono riqualificata andando a esplorare le nuove opportunità offerte dai social network e dalla comunità informatica. Essermi specializzata su questi temi vincenti prima di tutti mi ha dato importanti opportunità professionali, ed è così che da giornalista “semplice” oggi sono direttore di un quotidiano. «Porta lavoro e lavorerai». Ecco le parole che mi avrebbero cambiato la vita. Ho creato Sul Panaro che oggi dà lavoro anche ad altri.  Il mio giornale fa scuola ed è modello imprenditoriale vincente e caso di studi. Ce lo hanno certificato nel 2015, quando eravamo ancora piccoli, con il premio per il miglior progetto imprenditoriale della provincia di Modena. E nel 2020 ci ha premiato Google assegnandoci un prestigioso riconoscimento nell’ambito del JERF Journalism Emergency Relief Fund, progetto realizzato dal colosso di Mountain View per  i migliori siti di informazione al mondo. Sì, Sul Panaro,net è tra i migliori quotidiani on line al mondo, wow!. Poi è una realtà in crescita, cosa rarissima nel nostro settore dove purtroppo chiudono un giornale dopo l’altro.

 Qual è stato il momento in cui hai capito che volevi “fare impresa” nel giornalismo?  Hai avuto una formazione imprenditoriale o hai imparato sul campo?

L’idea di fare impresa è nata quando ho compreso come fosse un momento incredibile per creare qualcosa di nuovo nel giornalismo. Correva l’anno 2010 e si diffondevano i sistemi editoriali informatici gratuiti che permettevano di fare un giornale a costo zero e i social network che garantivano una diffusione tra i lettori persino maggiore della tv e della radio. Occasione troppo ghiotta da lasciare perdere. Ho dovuto aggiornare molte mie competenze: avevo una laurea – Scienze Politiche-   e 15 anni di esperienza giornalistica ma ho dovuto mettere da parte l’orgoglio e studiare di nuovo, imparare l’informatica e il marketing oltre a come si mette su un’impresa in Italia.  E non ho ancora smesso di studiare. Ora sto prendendo la seconda laurea, in Geografia.

Sei fondatrice del quotidiano locale ‘Sul Panaro.net’. Cosa ti ha spinto a sviluppare questo progetto e come si è evoluto negli anni?

E’ stato il caso, o il destino. Mi ero trasferita per amore in provincia, facevo la pendolare con Bologna, ma facevo fatica a inserirmi nel nuovo contesto. Farlo da adulti, lavorando fuori, è difficile. Così ho pensato di creare il quotidiano Sul Panaro per presentarmi alla comunità offrendo un servizio gratuito e mettendo a disposizione le mie conoscenze.

Il successo è stato tale che è diventato un lavoro a tempo pieno, e quando poi ho conosciuto l’instancabile Ginevra Cretì – la socia che in azienda si occupa dell’aspetto commerciale e amministrativo – è diventato anche un lavoro remunerato.

Voglio sottolineare che l’investimento iniziale sul sito è stato zero, non avevo capitali e se fossi andata in banca a chiedere denaro per mettere su un giornale mi avrebbero riso in faccia. Ho usato tutte le risorse informatiche gratuite, e le competenze maturate con lo studio e l’esperienza. E mi sono sacrificata moltissimo, all’inizio ero da sola. I soldi sono cominciati ad arrivare perché i lettori mi chiedevano come  potevano sostenere questo progetto, e solo allora ho potuto lasciare il lavoro a Bologna e dedicarmi a tempo pieno a Sul Panaro. Come si sta evolvendo? Ci stiamo allargando geograficamente, abbiamo ampliato i Comuni che seguiamo e altri nuovi ne arriveranno. La formula è sempre la stessa: informazione puntuale, verificata, gratuita. Da noi i lettori non trovano né pubblicità invasiva né paywall o tutte quelle diavolerie che infestano i siti di notizie e allontanano gli internauti.

Quali competenze ti sono risultate più utili nella gestione del tuo progetto giornalistico? 

In primo luogo  – sembrerà strano – la deontologia, che è il mio saldo timone nei marosi che devi affrontare alla guida di un giornale, tra un mondo che cambia velocemente e si polarizza su idee sempre diverse. Poi la capacità di ascoltare, di capire cosa interessa ai lettori, di annusare l’aria, di tenere gli occhi aperti: la possiamo chiamare curiosità. Deontologia e curiosità.

Qual è la sfida principale nel rendere sostenibile la tua testata?

Far capire che non siamo pagati dal Comune, dallo Stato, da Soros, che non prendiamo contributi pubblici. Siamo un’azienda che vive di pubblicità. Chi la deve mettere – per fortuna – lo sa e ci sostiene.

Come gestisci il rapporto tra indipendenza editoriale e sostenibilità economica?

Col solito braccio di ferro col commerciale che si fa dalla notte dei tempi! A volte si vince, a volte si perde: l’importante è andare nella stessa direzione e avere la stessa sensibilità etica.

Quanto contano le piattaforme digitali (social, newsletter, podcast) nella tua strategia editoriale e in che modo la tecnologia influenza le tue scelte narrative?

Le piattaforme sono il secondo strumento di diffusione dopo il sito web. All’inizio erano il primo. Purtroppo, a differenza del passato quando sui social i contenuti editoriali di qualità venivano valorizzati, adesso vengono nascosti e penalizzati.
Insomma, non ci vogliono più. Tante realtà hanno deciso di lasciare, a partire da X, ex Twitter, e via via. Io sto alla finestra: i social network coinvolgono comunque più dell’85% della popolazione, e la percentuale cresce ogni anno.
Le scelte narrative non vengono troppo influenzate dalla tecnologia. Da sempre credo che fare una gara tra noi giornali per chi sta più in alto o esce prima non abbia senso. Il bel scrivere, la bella storia, anche qualche parola desueta ci contraddistinguono dai testi generati da AI.

Per anni ti sei occupata della tutela dei giornalisti precari e freelance. Ancora oggi il problema principale riguarda la mancanza di contratti stabilizzati e la frammentazione delle fonti di reddito. Consigli per una svolta? 

Siamo sempre lì da vent’anni. Chi faceva le battaglie all’epoca o si è sistemato o (i più) hanno cambiato lavoro. E siamo tutti diventati vecchi. Purtroppo non vedo oggi un analogo afflato al cambiamento: l’esperienza dei Movimenti di giornalisti freelance è chiusa.  Il sindacato non è lo strumento: vi si iscrivono pochissimi, l’Ordine tiene l’albo e poco più, non abbiamo neanche più un istituto di previdenza tutto nostro.. Il potere contrattuale della categoria è ai minimi storici.
Ma una cosa possiamo tutti fare: pretendere che nessuno si presti a lavorare gratis o a poco prezzo.
E’ concorrenza al ribasso che fa il gioco degli editori.

Cosa consiglieresti a un giovane giornalista che vuole intraprendere un percorso in ambito giornalistico?

Studia, studia, studia. Sii curioso, fai domande, guardati intorno. E studia ancora.
Poi fatti un blog, e avanza tante, tantissime proposte alle redazioni, segui gli eventi, fatti vedere in giro. Qualcosa di buono ne viene fuori per forza.

 

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