L’Intraimprenditore. L'”innovatore silenzioso” che può cambiare il destino di un’azienda.

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Il termine IMPRENDITORIALITA’ è ormai di uso comune, associato a startup, idee di business e spirito di iniziativa. Ma c’è un concetto meno noto che sta guadagnando attenzione in ambito aziendale: l’INTRAPRENDITORIALITA’. Imprenditorialità e intraprenditorialità non sono in opposizione, ma due modalità complementari di portare innovazione nel mondo del lavoro. Una agisce fuori, l’altra dentro. Diversamente dall’imprenditore, che crea da zero la propria impresa, l’intrapreneur (o intraprenditore) è un dipendente che pensa e agisce con mentalità imprenditoriale all’interno di un’organizzazione esistente. Non solo condivide gli obiettivi aziendali, ma si sente protagonista del cambiamento: propone idee, si assume rischi, promuove soluzioni innovative e si prende la responsabilità del loro sviluppo, proprio come farebbe se fosse a capo di una startup.

Se l’imprenditorialità è l’arte di creare qualcosa dal nulla, l’intraprenditorialità è l’abilità di innovare all’interno di strutture già esistenti. Gli intraprenditori sono dipendenti che pensano fuori dagli schemi, portano idee nuove, si assumono rischi (non finanziari, ma professionali) e agiscono come se l’azienda fosse anche un po’ loro. La differenza? Lo fanno da dentro, con un badge al collo e uno stipendio mensile. Gli imprenditori, al contrario, mettono in gioco tutto: soldi, reputazione, tempo. Sono i decisori finali, i fondatori, i visionari con piena responsabilità legale e finanziaria. Creano prodotti, servizi, strutture. Gli intraprenditori, invece, generano idee, lavorano in team, sperimentano in piccolo, spesso senza il peso della burocrazia o del rischio diretto. Sono la forza creativa che si muove tra le maglie della cultura aziendale. In un certo senso, potremmo dire che gli imprenditori assumono gli intraprenditori. I primi sfidano il mercato; i secondi, la cultura interna di un’organizzazione. Gli imprenditori hanno in mano l’intera impresa, mentre gli intraprenditori sono responsabili del proprio ambito o di un progetto specifico. Anche la motivazione cambia: l’imprenditore è spinto da una visione personale e dalla necessità di farcela con le proprie forze. L’intraprenditore, invece, è mosso dal desiderio di vedere riconosciuto il proprio valore: attraverso lo stipendio, la crescita professionale, l’apprezzamento dei colleghi e dei superiori.

Questa forma di imprenditorialità interna, ancora poco diffusa nel linguaggio quotidiano, sta prendendo piede anche nel settore editoriale. Anche in questo contesto l’intraprenditorialità si riferisce ad una cultura aziendale che incoraggia dipendenti e collaboratori a sviluppare nuove idee, sperimentare nuovi approcci e innovare i processi e i prodotti.

Secondo Leo Barozzini, direttore di Warrantraining, la formazione gioca un ruolo chiave nel preparare e far emergere queste figure. Tre, secondo lui, le parole chiave del percorso formativo dell’intraimprenditore:

  • Consapevolezza, intesa come determinazione e volontà di cambiare,
  • Tecnica, ovvero le competenze gestionali per presidiare i processi d’innovazione,
  • Esperienza, la capacità di mettere alla prova le proprie abilità personali e relazionali per guidare con efficacia l’innovazione.

Tra le skills principali da sviluppare ci sono la proattività e una volontà autonoma e spontanea di spingersi oltre l’ordinario. A ciò si aggiungono la flessibilità mentale di pensare fuori dagli schemi e la capacità di intercettare nuove direzioni strategiche, anche quando queste comportano cambiamenti radicali e rischiosi.

 

 

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