Non fu solo un editore: Arthur Hays Sulzberger è oggi riconosciuto come il pioniere del giornalismo imprenditoriale. La sua capacità di coniugare valori editoriali, visione d’impresa e adattamento tecnologico ha posto le basi per un modello ibrido, ancora oggi riferimento per testate di tutto il mondo, in cui informazione e sostenibilità convivono, in uno dei periodi più turbolenti e trasformativi del Novecento.
Nato nel 1891 in una famiglia ebrea di origine sefardita, Sulzberger sposò Iphigene Ochs, figlia di Adolph Ochs, l’uomo che aveva già salvato il New York Times da un destino incerto alla fine dell’Ottocento. Ma Arthur non si limitò a ereditare un impero editoriale: lo reinventò, trasformandola in una delle testate più influenti al mondo e sviluppando un modello economico e editoriale che resiste ancora oggi. Adolph Ochs, il suocero di Sulzberger, era stato un uomo fondamentale per la storia del New York Times, in quanto lo aveva salvato dal fallimento alla fine del XIX secolo. Ne aveva rinnovato la linea editoriale trasformandolo da testata locale in una delle pubblicazioni più rispettate e influenti degli Stati Uniti, puntando su un giornalismo serio e investigativo. Sebbene l’eredità di Sulzberger come giornalista sia complessa, il suo impegno imprenditoriale è stato fondamentale per la costruzione del New York Times come un’istituzione capace di navigare le acque turbolente del giornalismo moderno. Sulzberger riuscì a innovare la struttura del giornale, a differenziarsi dai concorrenti e a mantenere una linea editoriale autonoma e rispettata, che avrebbe portato la testata a superare il cambiamento dei tempi, mantenendo il suo status di punto di riferimento per l’informazione globale. ti tecnologici e sociali del suo tempo, senza perdere la sua missione informativa e culturale.
Alla guida del Times dal 1935 al 1961 (e poi come presidente fino al 1968), Sulzberger incarnò il profilo del giornalista-imprenditore ante litteram. Seppe riconoscere il valore dell’investimento in tecnologia e linguaggi visivi, introducendo la fotografia stampata come elemento centrale nella narrazione giornalistica e creando sezioni fotografiche dedicate, un passo rivoluzionario per un quotidiano allora noto soprattutto per la sua autorevolezza testuale. Sotto la sua direzione, il New York Times si affermò non solo come voce della democrazia americana, ma anche come impresa capace di sostenersi economicamente, attrarre pubblicità e sviluppare una rete capillare di corrispondenti e collaboratori, in patria e all’estero.Impegnato nel sostegno ai diritti civili e culturali, Sulzberger nominò donne e giornalisti afroamericani, un passo decisivo verso un giornalismo inclusivo e diversificato. Fu protagonista di una scelta pioneristica per l’epoca: nominò, infatti, una donna come commentatrice editoriale di affari esteri, dando spazio a giornaliste afroamericane, in un contesto mediatico ancora dominato da voci bianche e maschili. Questo lo posiziona anche come un imprenditore inclusivo, capace di leggere i cambiamenti sociali e tradurli in scelte editoriali strategiche. Eppure, la sua eredità non è priva di ombre. Durante la Seconda guerra mondiale, il Times fu criticato per la copertura sottotono dell’Olocausto, una scelta legata anche alle posizioni personali di Sulzberger, dichiaratamente antisioniste. Il conflitto tra la sua identità ebraica e le sue convinzioni politiche sollevò interrogativi che ancora oggi alimentano il dibattito sulla responsabilità morale del giornalismo in tempi di crisi.
Negli anni ’60, Sulzberger avviò una transizione imprenditoriale e familiare, passando le redini al figlio Arthur Ochs Sulzberger. Questa continuità dinastica ha permesso al Times di mantenere una forte identità e coerenza editoriale, pur continuando ad evolversi. La struttura dell’azienda, il modello di governance e la gestione del capitale umano introdotti da Sulzberger sono diventati casi di studio per chi oggi analizza la sostenibilità economica del giornalismo.
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