Lo scrittore si racconta: intervista a Cesario Picca

pubblicato in: Giornalismo 0

Lo scrittore e giornalista Cesario Picca presenta, in anteprima, il suo ultimo romanzo “I cento giorni” i cui proventi della vendita saranno devoluti per l’emergenza Coronavirus. Picca è già autore di numerosi romanzi gialli tra i quali “Tremiti di Paura” e “Gioco Mortale” con protagonista il cronista salentino Rosario Santacroce detto “Saru”.

Cesario Picca, giornalista e scrittore. Raccontaci di te
Ciao a tutti. Ho 47 anni, sono salentino di origine e bolognese di adozione. Amo la vita nonostante i suoi tanti perché senza risposte e i suoi contraccolpi; amo la buona tavola e adoro cucinare anche se devo sempre stare attento a non esagerare; amo correre e finora ho preso parte a più di 30 maratone e ultramaratone; amo l’altra metà del cielo e ho un brutto difetto che mi spinge a dire sempre ciò che penso. Per 25 anni mi sono occupato di cronaca nera a giudiziaria e ho vissuto gli anni del nuovo terrorismo che è costato la vita ai professori Massimo D’Antona e Marco Biagi. Un’intensa e ricca stagione dal punto di vista professionale. Da qualche tempo ho un po’ messo da parte la vita del cronista in prima linea che in parte rivivo nei gialli che scrivo laddove il protagonista è proprio un cronista, il salentino Rosario Saru Santacroce.

Prima di diventare scrittore sei stato un giornalista di successo. Nel 2002 sei stato premiato dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi “Cronista dell’anno-Piero Passetti 2002” indetto dall’Unci. Puoi raccontarci quel periodo?

Se sono stato un giornalista di successo non lo so. Di certo, ho avuto la fortuna di svolgere un lavoro che sognavo sin da piccolo. E ho vissuto una gran bella avventura che mi ha arricchito tantissimo e mi ha regalato numerose soddisfazioni. Tra queste c’è anche il premio “cronista dell’anno” vinto nel 2002 grazie ad un’inchiesta giornalistica. Più di un mese di lavoro a spulciare carte, raccogliere prove, indizi, cercare risposte, confronti, approfondimenti e a farmi scivolare di dosso le minacce fingendo di non capire e non sentire quando mi telefonavano in redazione per sconsigliarmi di procedere con quell’inchiesta. Ma c’è soprattutto la soddisfazione di aver fatto per bene e con serietà il mio lavoro anche a costo di andare incontro agli strali di certi potentati. Tra questi ricordo volentieri quando permisi a una vecchina non autosufficiente e invalida di ottenere la pensione che le toccava e che la Asl le aveva dapprima negato e poi riconosciuto dopo il mio articolo. O quella volta che, in una tarda serata invernale, mi ritrovai in un giardino alla periferia di Bologna con una gola profonda delle forze dell’ordine che mi raccontava un meccanismo di corruzione tra gli uomini in divisa. In entrambi i casi, per aver fatto il mio dovere, sono stato insultato e denigrato, schivato e minacciato, ma alla fine il tempo, come ripeto sempre, si è dimostrato il solito galantuomo.

Il passo da giornalista a scrittore è stato breve. Come è nata la tua passione per i libri e la scrittura letteraria?

Sognavo da tempo di scrivere un libro ma non avevo le idee chiare su cosa scrivere. Finché non è comparso nella mia vita il cronista Saru Santacroce e ho capito che se proprio lo desideravo, dovevo scrivere di qualcosa che conoscevo bene. Pertanto, cosa c’era di meglio che scrivere di quanto vivevo quotidianamente con il mio lavoro di cronista in prima linea? Ho cominciato con il primo e poi la serie si è allungata. E con essa anche il numero dei miei lettori che ringrazio per la fiducia.

Ti occupi in particolare di romanzi gialli. Quali sono gli autori che hanno contribuito alla tua formazione letteraria?

Ho letto molti lavori di Edgar Allan Poe, Edgar Wallace, Ellery Queen, Cornell Woolrich, Arthur Conan Doyle, Agatha Christie, Jeffery Deaver, John Grisham, Ken Follett, George Simenon, il papà di Maigret. E, ovviamente, Andrea Camilleri al quale in tanti, bontà loro, mi hanno accostato per alcuni aspetti dei miei gialli come l’uso del dialetto e la tendenza ad affiancare piccole storie a quella principale. Come ripeto spesso, però, usando un linguaggio da corridore, il papà di Montalbano è un top runner che vince le maratone mentre io sono un umile finisher che è soddisfatto nel tagliare il traguardo. Ma più che questi grandi scrittori, con tutto il rispetto, alla mia formazione letteraria hanno contribuito parecchio il mio lavoro e la vita. Perché, come dico spesso, scrivo storie ispirate dalla realtà che è molto più prolifica della fantasia. Basta guardarsi intorno per trovare infiniti spunti per scrivere un giallo. A cominciare dalla disgrazia del Coronavirus che sta caratterizzando questo infausto periodo.

Il tuo “alter-ego”, come lo definisci tu nella tua autobiografia, è il cronista salentino Rosario Saru Santacroce, il protagonista dei tuoi gialli. Come è nato questo personaggio e quali sono le sue caratteristiche? Cosa vi accomuna e quali sono le differenze?

Uno nei suoi libri racconta molto di se stesso, ovviamente. I suoi pensieri, le sue idee, le sue emozioni, i suoi punti di vista. E io non faccio eccezione. Pertanto, ci voleva qualcuno che mi somigliasse e che avesse voglia di seguirmi nelle mie storie. Rosario Saru Santacroce è nato proprio partendo da questa esigenza. Certamente, per me che sono salentino sarebbe stato molto più difficile adottare un personaggio trentino, piuttosto che friulano o bergamasco. Ci sono molte cose in comune tra me e Saru, ovviamente. Ma una grande differenza: lui vive nelle mie storie, mentre io faccio i conti con la realtà che è decisamente diversa. Da buon salentino, Saru è un personaggio sanguigno, esplosivo, razionale, qualche volta rude e politicamente non corretto. Ma è genuino, schietto e sincero. Va dritto alla sostanza anche se non disdegna la forma; ama la vita, odia la falsità, l’ipocrisia e il finto buonismo.

Dalle storie di Rosario Santacroce emerge anche un forte legame con la terra salentina, la sua cultura, la cucina, le tradizioni. Cosa dobbiamo conoscere del Salento, definita “la terra tra i due mari” che ancora non conosciamo?

Negli ultimi anni è stato detto molto di questa terra calda e luminosa. Ci sarebbero tante cose da raccontare e da scoprire ancora. Ma se dovessi indicare un punto di forza, punterei decisamente sul cuore dei salentini. Perché è grazie al loro cuore grande che riescono sempre a sorridere nonostante le difficoltà come, per esempio, la Xylella e la enorme distanza che li separa da un capoluogo di regione a dir poco bulimico.

Spesso i tuoi romanzi si sviluppano attorno a temi legati all’attualità, come il femminicidio, la massoneria e l’abuso sui minori. Come trai ispirazione e quali sono le fonti che utilizzi per documentarti?

In ogni mio giallo solitamente affronto un tema e accendo su di esso i riflettori usando un mezzo particolare come può essere un thriller. Tutti i temi che tratto li conosco o perché li ho vissuti personalmente o perché li ho studiati e sviscerati. L’abuso sui minori che tratto in Vite spezzate, per esempio, è frutto di una dura e stomachevole lettura di tanti libri sull’argomento. Non è stato facile leggerli a causa dell’angoscia e del dolore che trasuda. In questo mi ha aiutato molto anche il mio amico psicologo Marco Lodi spiegandomi i tanti e dolorosi risvolti che vanno oltre quanto si può trovare nei libri avendoli affrontati innumerevoli volte per lavoro.

Una curiosità: quando finisci di scrivere un libro a chi lo fai leggere per primo?

Alla mia esperta di editing Maria. Sono anni che collaboriamo insieme, ormai. È diventata quasi una sorta di musa per i consigli che mi dà, per gli appunti che mi fa, per gli spunti che mi dà e per le correzioni che apporta ai miei scritti.

A quale dei tuoi dieci romanzi sei più legato?

Come una buona madre non posso che amarli tutti allo stesso modo.

In piena emergenza Coronavirus hai deciso di dare il tuo contributo devolvendo i proventi della vendita del tuo ultimo romanzo “Cento Giorni”. Puoi dirci di più?

Mi è venuto spontaneo nell’assistere a questa tragedia. Cento giorni, che è un romanzo e non un giallo, è stato pubblicato proprio in questi giorni e parla d’amore. E quale modo migliore per mettere in pratica questo nobile sentimento se non aiutando il prossimo? Come diceva papa Roncalli, che era bergamasco, “nulla di quello che accade all’uomo deve risultarci estraneo”. In fondo, se eliminassimo l’amore e la condivisione dalla nostra esistenza non resterebbe che la desolazione della grettezza.

Progetti per il tuo futuro?
Sono già a buon punto con il prossimo giallo. È ambientato a Napoli e ha dei risvolti che lo avvicinano agli horror di Edgar Allan Poe

 

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *